venerdì 19 gennaio 2007

Klee, Paul

Un occhio che vede e l’altro che sente *

Sì, sì, tutto è matematica, Vasilij, tutto è geometria. La musica, la pittura, la mia pittura, Vasilij, la mia pittura. Le forme, i colori. Guarda: uno, due, tre, undici strisce, quindici rettangoli, trenta quadrati. E’ meraviglioso, Vasilij.

E’ la magia dell’astratto, il realismo dell’astrazione. Dovevamo arrivare a questi risultati, Vasilij. Non potevamo fermare la nostra ricerca. Tu dal microscopio, io dalla filosofia, dalla poesia, dalla biologia, dalla chimica.

Lavoro senza sosta da mesi, da anni, forse da sempre. Forse già dipingevo con la mente mentre suonavo e mio padre mi imponeva tante ore di esercizi.

Ho fatto 9000 opere, lo crederesti?. Solo in questi mesi ne ho dipinte più di 200.

Vedi, tutto è numero. Quando suono, suono numeri, quando dipingo, dipingo numeri. Li sento battere, scandire, presentarsi in un’ideale scala, ognuno in un posto preciso, in ordine, con una loro poetica fisionomia: allampanati, tondeggianti, supponenti. Uno, otto, tre, la perfezione. E il 21. Perché il 21 in un dipinto al ritorno dalla Tunisia? Me lo chiedi ma non lo so. Dovevo dare presenza a un acquerello senza titolo.

Grohmann, il mio amico Grohmann, ha letto perfettamente nelle mie opere. Ha detto, ma non ricordo a memoria, che «i numeri sono scritti nei vari quadrati e che, se si sommano quei numeri lungo le orizzontali e le verticali i risultati coincidono come nel noto quadrato magico».

Capisci Vasilij, aveva interpretato il mio bisogno d’armonia attraverso i numeri.

Il viaggio in Tunisia? Fu importante, più di quelli in Italia.

Fu allora che sentii di essere pittore. Non più la musica, non più il violino. Libero dalle suggestioni di mio padre e di mia madre.

Libero.

Il sole, i colori, la luce della Tunisia furono decisivi. Mi fecero cambiare la tavolozza: Caffè a Tunisi, Saint Germain presso Tunisi.

Come amai quei villaggi un po’ scomposti, freschi, luminosi!

I colori pastello mi hanno accompagnato a lungo. Impossibile separarmene. Sapessi quante volte ho deciso che avrei cambiato. Ritornavo a loro come per incantesimo.

Strada principale e strade secondarie, Separazione di sera, Luogo colpito, Le tre torri.

Le fasce a tinte tenui e poi decise, fonde, a indicare la fatica dell’ascesa verso la spiritualità, verso l’infinito.

Fu un lavoro duro. Mi fece uscire dal fantastico, da un certo figurativo magico che rimandava al sogno, all’inconscio. Discutemmo una notte intera bevendo limonata e gin. Ricordi? E Lily che ci interrompeva e ci diceva di smettere, che saremmo stati male. Ma come si poteva interrompere?

Eravamo inesauribili, instancabili. Eravamo giovani.

Sei paziente Vasilij. Le sai già queste storie e le ascolti ancora. Però oggi è diverso. Sono io che ho bisogno di ricordare, di ricostruire i passaggi della mia vita e della mia pittura. C’è calma, oggi.

Sono in delirio? Forse. La malattia non mi dà pace. Non mi permette più di usare le mani per quei segni sottili, delicati che hanno bisogno di attenzione. So che non vivrò a lungo, Vasilij. Lo so bene.

La vicinanza della morte ti impone di guardare attentamente dentro la vita, Vasilij, è una esperienza che supera ogni esitazione.

Forse ho sempre pensato alla morte, fin da giovane. L’ eccessiva riservatezza, che spesso mi hai rimproverata, non è stato il dono per affrontare oggi la malattia nel silenzio?

La severità di mio padre, l’angoscia che mi procurava il rapporto con lui, forse, non mi hanno mai abbandonato. I quadri di quel tempo, così vicini al gioco di un bambino, erano il modo di vivere una “mia” infanzia, fuori dal suo dominio e dalla debolezza di mia madre. Non riuscivo a contrastare né l’uno né l’altra.

Amavo la musica ma dovevo sfuggire al confronto. La mia musica l’ho dipinta. La melodia del colore l’ho sentita. Ricordi Fuga in rosso?

Ho dovuto costruirmi un mondo segreto di poesia.

Ti ho mai raccontato della mia amicizia con Rilke? Era il 1916 quando lo incontrai. Proprio l’anno in cui lo sconvolgimento della guerra lo colpì talmente da impedirgli di pubblicare per molti anni. Io avevo già scritto molte poesie che lui volle leggere.

Ricordo che Lily mi aveva appena regalato una raccolta di poesie cinesi. Affascinato dalla parola “hua” che in cinese e giapponese indica scrittura, disegno, pittura, ne discussi a lungo con lui.

Capisci l’attrazione? Poter unificare in una sola parola tre momenti fortemente indicativi dell’arte.

Non ho mai smesso di pensarci, lo sai.

Al Bauhaus, quel concetto fu la mia linea di insegnamento.

La nostra avventura al Bauhaus, Vasilij. Dieci anni esaltanti, dieci anni in cui abbiamo creduto nella possibilità di fondere arti e mestieri. Di annullare le distanze con gli allievi, di far crescere una generazione di artisti secondo una schema nuovo, universale. Ricordi che lo dicevamo spesso: universale? Sappiamo come è finita: umiliati dalla prepotenza politica che nulla aveva a vedere con l’arte. Eravamo romantici e fummo definiti “focolaio di bolscevismo intellettuale”.

Fu la prepotenza che mi fece abbandonare la Germania. Confiscarono le mie opere, ricordi? Noi, condividendo ideali e speranze, avevamo eletto quel Paese a Patria.

Arrivando a Berna mi sono sentito esiliato e orfano. Ho dipinto senza sosta.

Ho cambiato i colori. Scuri, questa volta, fondi. I colori di chi presagisce la fine. Di chi vuole rappresentare il suo percorso interiore, Vasilij. Ancora quadrati da contare, ancora linee, ancora segni di chi scrive attraverso il disegno.

I miei scritti. Appartengono a tempi lontanissimi.

Non posso più scrivere. Come vedi le dita sono deformate, la pelle devastata dalla malattia. Dovrei dettare a Lily, ma non posso sottoporla ancora di più al dolore delle mie difficoltà.

Tutto ha un tempo, Vasilij. Oggi la mia riservatezza è un privilegio. Mi permette di rimanere a lungo, chiuso nel mio studio, a confronto con la mia impotenza.

«Nell’al di qua non mi si può afferrare. Ho la mia dimora tanto tra i morti quanto tra i non nati. Più vicino del consueto al cuore della creazione, ma ancora non abbastanza vicino».**

*Così si definiva Paul Klee - 1879-1940

** Dal diario di Klee

Mi, 21 marzo 2006

1 commento:

Anonimo ha detto...

ciao, volevo chiederti dove hai trovato questo brano. Sto approfondendo molto la vita e le opere di Paul Klee, ho letto i suoi diari (i primi quattro, fino al 1918), ma non ho trovato traccia di questo testo. Mi puoi dare il titolo per favore? Grazie! Elena