sabato 12 maggio 2007

sorella del mio cuore di Chitra Divarakuni

Sorella del mio cuore

Di Chitra Banerjee Divakaruni

Una bellissima storia d’amore. Di quelle che fanno bene al cuore, di quelle che fanno desiderare di incontrare persone così per vivere con loro una storia così.

Sono due bambine, e poi adolescenti e poi adulte, le protagoniste. Due sorelle che non sono nemmeno sorelle. Si credono cugine ma non sono nemmeno cugine. Sono amiche per la pelle, pronte a fare per l’altra ogni sacrificio, ogni rinuncia nella più grande riservatezza e con la più grande generosità.

Crescono insieme in una grande casa con tre donne che sono madri e zie e complici e consigliere. I padri sono partiti per vivere una avventura di cui si saprà tutto alla fine. E crescono a Calcutta, nella Calcutta di oggi in cui gli uomini sono informatici e ingegneri, viaggiano e si specializzano in America. Occupano posizioni impegnate, gli uomini, ma, nella vita privata, continuano a essere soggiogati dai voleri delle madri, secondo le antiche tradizioni. E se per gli uomini decidono le madri, per le ragazze decidono le madri dei maschi e le loro stesse madri.

Un mondo tutto femminile, insomma, che domina e subisce.

Non ci si può sottrarre alle tradizioni. Le ragazze non possono volere e scegliere l’uomo da sposare, il condizionamento della società è pesantissimo.

È questa una delle parti più interessanti del libro: il contrasto tra il nuovo, così avanzato, e il vecchio così radicato.

Lo stile di questa scrittrice è trasparente, lineare, con bellissime riflessioni sulla realtà della vita, dei sentimenti, delle rinunce che le donne devono affrontare. I personaggi femminile sono bellissimi e perfetti nei loro ruoli.

Ho rivisto il nostro Paese di cinquant’anni fa, quando alle ragazze si imponevano disciplina e restrizioni e comportamenti. E i rapporti dovevano essere regolati solo dalla famiglia. Il rapporto d’amore tra le protagoniste mi ha fatto rivivere lo stesso rapporto vissuto con una delle mie sorelle. Ci siamo amate senza riserve fino al momento in cui i fatti hanno rivelato che, forse, non era stato vero niente.

Loro invece (ma succede solo nei libri?), sono riuscite ad arrivare fino in fondo.

La delusione di questo libro, così piacevole, così vero, è arrivata nel finale: ispirata a Carolina Invernizio o ai Miserabili per l’inserimento di una scoperta abbastanza inverosimile .

Comunque vale la pena di leggerlo per la trasparenza e la forza dei sentimenti che ci dà nelle 300 pagine precedenti.

MGMC

7 maggio 2007

sabato 21 aprile 2007

Genitori e figli

Genitori e figli

Non spaventatevi, non voglio affrontare un trattato sul rapporto tra genitori e figli. Mille trattati, miliardi di trattati, scritti e approfonditi da mille, miliardi di super -esperti non esaurirebbero le sfaccettature di questo rapporto.

Genitori e figli: il rapporto più difficile del mondo. Il rapporto che più di altri, secondo me, è in balia dei tempi. Il rapporto che non può avere codici. Il rapporto a rischio errori più di qualunque altro. Il rapporto che può provocare danni incalcolabili.

Perché quei figli diventeranno adulti e saranno la società di domani.

Detto questo, che dovrebbe rassicurarvi sul mia incapacità di scrivere un trattato, affronto questo argomento dal mio punto di vista, dalla mia esperienza, e dall’attenzione che ho sempre avuto per i “figli”.

Intanto dichiaro che sono sempre dalla parte dei “figli”.

Io non penso affatto che i ragazzi abbiano la responsabilità dei loro comportamenti. Che hanno fatto gli adulti per educarli ad altro? E’ questo che mi sembra il perno della discussione.

Se ne fa un gran parlare, in questo momento.

A Torino un ragazzo viene sbeffeggiato dai compagni, filmato e fatto vedere al mondo, in Germania un ragazzo uccide in una scuola per diventare un eroe, in grandi e piccole città adolescenti violentano e intimoriscono le compagne di scuola, e poi quelli che uccidono madre e fratello, i bambini legati in un asilo, la preside che punisce due ragazzini che si baciano nell’intervallo e infine, sempre nella solita, squallidissima America, un ragazzo sudcoreana uccide trentatrè compagni e professori..

Insomma, episodi di diversa portata che però denunciano un disagio profondo, una confusione profondissima tra gli adulti.

La famiglia e la scuola, da luoghi di protezione, diventano luoghi di violenza.

E vediamo genitori e insegnanti non più uniti dallo spirito di collaborazione ma di contrapposizione perchè i genitori, per difendersi, difendono sconsideratamente i figli. E i ragazzi, cosa volete che facciano? Si sentono spalleggiati e il loro rapporto con gli adulti diventa di sfida: se hai paura di me io ti aggredisco, abbaio più forte.

Professori emeriti, a commento di uno degli atti di violenza consumato da adolescenti su altri adolescenti, invocano, in televisione, più tempo dei genitori, più ascolto, più disponibilità, più attenzione.

Ma come si può pensare di dare tempo, disponibilità, attenzione se non lo si è fatto per 13, 14, 15 anni? Improvvisamente, secondo l’emerito professore, una mattina i genitori dichiarano che vogliono dare più tempo, più disponibilità, più attenzione.

Pensate che i figli capirebbero?

L’ascolto, il tempo, l’attenzione sono comportamenti che i genitori dovrebbero dare dal momento della nascita dei figli. Solo così si potrebbe dire al figlio: sono disposto a darti “più”. Ma se quel “più” parte dal nulla che senso può avere?

Chi sono oggi questi genitori? Da dove arrivano e quali percorsi hanno compiuto? La figura paterna è sempre stata quella che spinge i figli verso una funzione di emancipazione. Il padre non ha generalmente funzione educativa. La madre invece ha la funzione di accoglimento e di soddisfazione del bisogno del figlio. Pensiamo all’allattamento al seno. Solo trenta anni fa se una donna non allattava sentiva la “colpa” di privare il figlio di un nutrimento indispensabile. Poi, grazie a molte teorie su comportamenti educativi moderni, si è passati alla moda del latte artificiale. Si è tolto al bambino, e anche alla madre, il momento di più intensa relazione tra loro: l’allattare è la dipendenza del bambino dalla madre e se lo si priva gli si procura un trauma.

Sembra che oggi, le madri quarantenni, abbiano scoperto l’allattamento al seno e non vogliano privarsi, loro (secondo me), di questa esperienza.

Comunque dalla suddivisione dei ruoli tra padre e madre è abbastanza facile analizzare la situazione che abbiamo sotto gli occhi.

I padri. A me non sembra che oggi il ruolo dei padri degli adolescenti sia quello di indirizzarli a emanciparsi. Sono quarantenni, nella maggior parte dei casi, scontenti della loro posizione nella società o impegnati a raggiungere il successo professionale nel quale si identificano. Spesso dipendenti dalle mogli, con i figli si impegnano il tempo di una partita di calcio in televisione o al massimo allo stadio. Pacche sulle spalle e parvenza di cameratismo. Ma dei turbamenti adolescenziali del figlio che ne sanno? Di quello che il figlio sta prendendo dalla società in cui vive, che ne sanno? E sanno dei suoi comportamenti a scuola, con i compagni, con gli amici? Delle sue difficoltà intime?

La madri. Cresciute dopo il femminismo, quando con i reggiseni le donne bruciarono molti sentimenti, molto di “quell’essere donna” che oggi si cerca di recuperare indossando un “intimo” pubblicizzato e costoso, sono aggressive e stanche.

Ma la donna sa dov’è? Secondo me, no. La donna oggi crede di aver conquistato un posto rilevante nella società. Nella società consumistica, però. Perché anche lei è un oggetto di consumo. E se un tempo si è battuta per non essere la donna-oggetto dell’uomo, oggi, abbiamo sotto gli occhi un modello di donna-oggetto di se stessa, tanto la donna è tesa a sfruttare la sua immagine, il suo corpo. Episodi di cronaca lo mettono in evidenza.

Almeno è ciò che si vede, che le adolescenti vedono. E’ vero, le donne sono dovunque: fanno i giudici e i poliziotti, i marinai e i presidenti del consiglio, i ginecologi. Le carriere sono aperte, hanno diritto alle quote rose.

.Ma la vera essenza della donna, quella che le ha dato il “vero”potere, il potere di educare, di formare generazioni, di “amministrare” la famiglia , quel potere chi lo esercita? Per correre dietro a un potere fittizio, a una parvenza di conquista, a una libertà effimera che l’ha messo su un piano ambiguo e pericoloso?

Sì, lo so che la maggior parte delle donne protesterà. Ma perché non facciamo una analisi onesta degli errori che sono sotto gli occhi di tutti attraverso i comportamenti degli adolescenti?

Gli uomini la odiano, la donna. L’hanno sempre temuta. Sanno bene che sarà sempre lei a dominarli.

Umberto Galimberti, in un bellissimo articolo sulle donne seviziatrice a Bagdad ha spiegato perché anche la donna può saper seviziare: perché nessuno conosce il corpo meglio di lei. Quel corpo che le permette di generare e di fare andare avanti il mondo. C’erano tribù (non so se l’usanza è ancora attuale), che tagliavano i seni alla donna per colpirla lì da dove arrivava il suo potere: la maternità, gli uomini che la violentano quando ormai la libertà sessuale è assoluta, il potere che cerca di controllarla stabilendo le quote rosa. Anche i convegni sulla donna, o le leggi che dovrebbero privilegiarla, non sono un modo di ghettizzarla? “Sei un’altra cosa, appartieni a un’altra sfera. E’ per questo che parliamo di te”.

Quando cominciai a lavorare, partecipando a riunioni in cui c’erano uomini e donne, mi accorsi dell’affanno delle donne di dover essere le più brave. Mi dissi: “Non voglio diventare come loro”. Non mi interessava sembrare la più brava, ritenevo più importante “esserlo” e basta.

Sono anni che dura la competizione. Sembra che l’unico scopo della vita di una donna sia mettere l’uomo in difficoltà per prevalere, per vincere.

Ma vincere cosa? Vi sembra che oggi la donna sia vincente?

Da donna-oggetto dell’uomo, che la donna ha combattuto giustamente a donna-oggetto per se stessa. Ormai la donna gestisce il proprio corpo, esponendolo senza nessuna eleganza e nessuna furberia, per trarne i benefici dell’arrivare a mete che, francamente, non le danno prestigio ma le procurano solo il disprezzo e il disinteresse sempre maggiore dell’uomo.

Perché tante donne sole? Perché il desiderio dell’uomo è diminuito vertiginosamente?

Non si fa che parlare, in tutte le riviste più diffuse, della diminuzione del desiderio sessuale. Grandi servizi con percentuali e confronti tra i paesi occidentali. Dell’Africa, e dei paese orientali, per fortuna non ne sappiamo ancora nulla.

Ma quando si parla tanto di un argomento non vuol dire che esiste un grande problema?

Vorrei chiudere commentando la più recente strage americana. Trasmissioni televisive la hanno vivisezionata. Si è detto che gli assassini in genere sono ragazzi frustrati, che scaricano sugli altri i propri fallimenti, che da 30 anni le stragi sono aumentate. Gli esperti si chiedono allora: è possibile che l’umanità sia diventata tanto più cattiva? C’è chi sostiene di sì, e chi sostiene di no. Nessuno però ha commentato una frase della lettera lasciata dal ragazzo: colpa dei ricchi (non la riporto esattamente). Questo denaro esibito sfrontatamente in ogni occasione, tra piccoli e grandi, non dice nulla agli esperti? E i famosi “valori” che sono stati sotterrati dalla divinizzazione del denaro, non suggerisce nulla? E i genitori, non si sentono neanche un po’ responsabile del tanto, del tutto, che viene concesso ai ragazzi perché è più sbrigativo dare che dedicare tempo e pazienza e affetto?

Finisco con questa riflessione. Non so a quanti servirà. Sarei felice se almeno una persona la cogliesse.

sabato 24 marzo 2007

Non di dire notte commento a Amos Oz

Non dire notte

di Amos Oz

Anche con questo libro di Oz riconfermo il mio amore incondizionato per lo scrittore israeliano. È un libro scritto nel 1994, quindi molto prima di Storia di amore e di tenebra.

Non voglio considerarlo una storia-metafora su Israele, come si è sempre tentati di interpretare i romanzi degli scrittori israeliani: Israele e sempre Israele. Naturalmente Israele c’è anche in questo romanzo, perché la storia è ambientata in un piccolo paese di fronte al deserto.

Voglio invece analizzare Non dire notte nel rapporto che Oz descrive, con indicibile sensibilità e raffinatezza, tra i due protagonisti: Theo e Noa. Vivono insieme e non sono sposati. Lui, urbanista di successo, sessantenne, e lei più giovane di diversi anni che si è dedicata molto a curare un padre, perlomeno, bizzarro. Vivono in una piccola località di fronte al deserto e ci sono arrivati perché Noa l’ha scelta per vivere la sua storia con Theo.

Dopo sette anni di vita insieme e in un momento in cui si sente l’assuefazione del rapporto: Succederà qualcosa Theo. Non hai anche tu il presentimento che è come se fosse finito il preludio? Noa, ha il desiderio di svincolarsi da questo rapporto esclusivo dimostrando le sue capacità, al di là dell’insegnamento. Vuole avere una iniziativa sua, tutta sua, nella quale buttarsi perseguendo obiettivi sociali. Vuole cogliere l’occasione che le viene data dalla morte per droga di un suo allievo. Vuole affrancarsi dall’influenza di Theo che certamente, dei due, è la “personalità”.

Ma Theo, con un sottilissimo gioco crudele, perverso, nel quale, forse inconsapevole, alternando intromissioni scoraggianti e improvvisi gesti di grande tenerezza, mette in azione la sua competenza e la sua autorità, e impedisce a Noa, senza un atto di forza, di realizzare ciò che voleva. E Noa si arrende.

Rivelatore il pensiero di Theo: Quante volte, in cucina, mi è venuta tutt’a un tratto voglia di dirle qualcosa che la ferisca veramente. Che le faccia male come uno schiaffone.

Quante volte si ha bisogno di ferirsi perché ci si ama e non si può pensare di rendere l’altro autonomo da noi? Quante volte il bisogno di possesso non permette alcuna generosità?

In un certo senso si può dire che quasi dappertutto si trovano sostanze che generano dipendenza.

E’ solo per dipendenza che Theo e Noa restano insieme? Come si può stare soli senza l’altro? E’ un grande tema da approfondire per tutti i rapporti e non solo per quelli d’amore.

Il romanzo, ha una struttura in cui si alternano i punti di vista di lui e di lei, e, a volte si inserisce una voce narrante esterna.

Per me un libro raffinatissimo, grande, come sempre Oz.

15 marzo 2007

Il mio nome è rosso commento a Pamuk

Il mio nome è rosso

Orhan Pamuk

I libri aggiungono all’infelicità dell’uomo una profondità che scambiamo per consolazione.

Comincio con questa frase la recensione allo straordinario libro di Pamuk. Può sembrare che il romanzo sia una riflessione sui libri. Non è così, ma l’ho amata talmente che mi piace citarla subito.

Il romanzo invece è una lunga riflessione sul confronto tra la cultura orientale e la cultura occidentale in una storia ambientata tra i miniaturisti turchi del ‘500. Diventa una miniatura lui stesso, il romanzo. Anzi, così minuzioso, così attento ai particolari, così “narrativo” nella raffigurazione di questo ambiente, che ci sembra vedere muoversi i personaggi tra i colori raffinati, vivi, studiati, tipici di quell’arte che tanto ammiriamo nei musei o nei monumenti turchi e islamici. Una straordinaria arte che portava i miniaturisti a diventare ciechi tanto era l’impegno che il lavoro richiedeva per dare al Sultano tutto il meglio della loro professionalità.

Lo sfondo, come in Istambul e in Neve, è il confronto tra le due culture: il declino della cultura orientale che non riesce a competere con quella occidentale.

I miniaturisti infatti si confrontano con l’arte che arriva da Venezia e che, solo in segreto possono guardare, ammirandola e volendo imitarla, pur condannandola per le raffigurazioni umane che la loro religione non permette.

Pamuk inserisce nel romanzo una trama gialla: c’è un assassino tra loro che uccide ferocemente i miniaturisti. Ma è un espediente per concedere qualcosa alla curiosità del lettore, secondo me, dato che la lettura di questo libro è decisamente impegnativa. Forse non era necessaria, o forse sì, non lo so.

So che Il mio nome è rosso è un libro di straordinario fascino. E quando, in alcuni momenti, si pensa che forse alcune pagine sono di troppo, alla fine ci si rende conto che la miniatura ha bisogno di tutti quegli elementi e che tutto, anche il più piccolo dettaglio, è indispensabile.

Da leggere, assolutamente.

15 marzo 2007

sabato 17 marzo 2007

Lentezza

Questo pezzo verrà pubblicato nel prossimo numero di Ascoltami

n. 20 – La Guarigione: Il tempo

Lentezza e velocità –

Una ridicola iniziativa

In uno degli ultimi giorni di febbraio è stato stabilito un giorno per “celebrare” la lentezza.

Naturalmente, nel proposito dei promotori, c’era l’idea di contrapporre la lentezza alla velocità, che oggi caratterizza la nostra vita.

Ma non vi sembra terribile proporre un giorno, un solo giorno dell’anno, alla scansione misurata del tempo? La lentezza, come la velocità, dovrebbero avere un loro naturale posto nello svolgersi della nostra giornata.

Alcune cose devono essere fatte lentamente, altre velocemente.

Se devi soccorrere un malato ci vuole rapidità, bisogna arrivare in tempo, è necessario correre. Se devi pregare o assistere un malato, bisogna avere il tempo necessario, non puoi avere limiti perché la fretta creerebbe solo molto disagio. Come si può affrettare il dialogo con una persona che fa fatica a parlare? E come si può essere sbrigativi con un bambino che cerca il contatto con l’adulto?

Viene elevano a straordinario valore un comportamento che dovrebbe far parte del nostro quotidiano.

Il tempo è proprio una di quelle cose che non può avere regole. Un viaggio in nave impone tempi di percorso molto diversi da un viaggio in aereo. Il mare, lo spazio, permettono la riflessione, l’abbandonarsi ai pensieri; l’aereo trasporta e catapulta da un posto all’altro del mondo senza dare il tempo di considerare le differenze di culture e di realtà.

Il giorno di febbraio diventa il ghetto della lentezza?

È possibile che l’anno prossimo, se verrà riproposta l’iniziativa, troveremo gadgets adatti: tartarughe e lumache saranno vendute in oro e pietre preziose, in cioccolato e torrone. In Cina la tartaruga è il simbolo della longevità: un bel simbolo in un’epoca in cui nessuno vuole più morire.

Stiamo perdendo così profondamente il senso della vita e il rispetto verso le esigenze di chi ci sta accanto da dover celebrare, con imposizioni dall’alto, comportamenti che dovrebbero essere naturali, dettati dall’amore, dalla dedizione?

E ciò che trovo insopportabile è che chi aderisce a queste “celebrazioni”, si sente in pace poi tutto il resto dell’anno e può regolare in pochi minuti rapporti che esigono invece tempo, tanto tempo.

Avete voglia di farci su una riflessione? Fateci sapere cosa ne pensate.

domenica 11 marzo 2007

Cina-il drago rampante - commento a Renata Pisu

Cina – Il drago rampante

di Renata Pisu

Molto interessante questo libro che ha, come sotto-sotto titolo: tra modernità e tradizione, un paese alla ricerca dell’identità.

Renata Pisu fa un percorso molto obiettivo e da grande conoscitrice della Cina quale lei è, giusto tra tradizione e modernità. Il suo percorso ci permette di capire da dove arriva questa vivacissima Cina di oggi, che vediamo correre verso primati economici, tecnici, industriali, verso un capitalismo che nelle città non è controllabile, e quale è stato il ruolo fondamentale dei suoi padri storici, a cominciare naturalmente da Mao e continuando con Deng Xiaoping che proclamava: Arricchirsi è glorioso!

Ma dove si ferma invece questa Cina? Arretrata ancora nelle campagne, quasi come cinquant’anni fa, mantiene leggi che impediscono a un contadino di trasferirsi in un'altra regione, frena l’evoluzione delle donne, tanto da non desiderare mai di avere una femmina, controlla ancora le nascite avendo ben 1miliardo e 350mila abitanti.

Sembra che tutto ciò che sta avvenendo in Cina non abbia una precisa pianificazione, che l’ansia sia quella di competere con le altre grandi nazioni, prima fra tutte l’India, la vicina altrettanto popolosa ma che, non imponendo il controllo delle nascite, potrebbe diventare, tra non molto tempo, un paese con grandi risorse giovani da immettere sul mercato.

Sarà un privilegio essere spettatori di tanta evoluzione. Noi europei, a nascite-zero, saremo tra poco un continente decrepito, fuori da tutti i giochi che si presentano sullo scenario mondiale!

Il libro della Pisu affronta i problemi dell’eros, delle religioni, degli intellettuali, delle città e delle campagne. Un itinerario veramente interessante narrato con semplicità e conoscenza profonda del Paese.

Da leggere.

11 marzo 2007

sabato 17 febbraio 2007

Everyman di Philip Roth - commento

Everyman

di Philip Roth

«La vecchiaia non è una battaglia: la vecchiaia è un massacro» è la dichiarazione che fa Roth a pag. 106 di Eveyman confermando un pensiero che lo perseguita ormai da anni.

Questo ultimo libro, dalla copertina nera, presentato come un capolavoro in America e in Italia, mi ha proprio delusa.

Roth riprende i suoi classici temi: la competizione del protagonista con l’immagine perfetta di un fratello (lo Svedese nella Pastorale americana), i fallimenti matrimoniali, la vecchiaia= malattia=morte, l’ossessione del sesso, il ricordo di giochi erotici perduti, e infine, il rifiuto totale di accettare una diversa condizione della vita, nel momento in cui la vita si trasforma anche perché il corpo non risponde più agli impulsi della giovinezza.

Avendo il tempo di analizzare i suoi precedenti (grandi), romanzi, si ritroverebbero gli stessi concetti, e, probabilmente, anche le stesse frasi. Comunque le stesse ossessione che Roth vuole rendere universali - non dando un nome al suo protagonista - ma che invece sono le ossessione dell’uomo Roth, e non, per fortuna, di tutti gli uomini anziani.

Sembra che per Roth, “vita” sia sinonimo di sesso, se questo viene meno, non si può più parlare di “vita”.

Questo libro dice, secondo me, che Roth ha ormai poco da dire. Non fa i conti con la morte, così come lui stesso aveva dichiarato tempo fa in una intervista, ma ripropone al lettore, forse furbescamente, cose già ampiamente dette e, secondo me, dette anche in modo più convincente e originale.

Tanto la trilogia sull’America mi aveva conquistato, tanto l’Animale morente, mi aveva coinvolta per alcune meditazioni che si potevano fare proprio sulla vecchiaia, tanto Everyman mi ha irritata provocandomi un rifiuto totale sull’autore.

Milano, 12 febbraio 2007