martedì 30 gennaio 2007

Intorno alla mostra CINA

Intorno alla mostra CINA

Come si può scrivere della Cina di oggi senza tenere costantemente presente radici e percorsi di questo paese?

Feci il mio primo viaggio in Cina nel 1981 con l’associazione Italia-Cina, una delle poche organizzazioni che vi avevano accesso. Ricordo che quando decisi mi chiesi se era prudente affrontare quell’avventura. Ci arrivai con la testa piena della propaganda che si faceva sui nostri giornali: lampadine fioche, pensieri di Mao che venivano letti durante le ore di lavoro, cibo razionato. Mi aspettavo un paese cupo, triste e invece scoprii, nelle città che visitai: Pechino, Nanchino, Shangai, Canton e alcuni villaggi interni, gente che non aveva l’aria di essere traumatizzata.

Nei musei vidi famigliole cinesi, gente sorridente e sorpresa di vedere facce occidentali. Niente mi sembrò come avevo immaginato anche se i cinesi erano ancora tutti in divisa grigia, gli alberghi erano sporchi (molto), le strade delle città affollate da biciclette, esisteva un solo negozio per turisti e si parlava della rivoluzione culturale come del più grande flagello che avesse subito il Paese.

Molti argomenti erano tabù per le guide che ci accompagnavano. Vidi anche una delle ultime donne con i piedi fasciati. Piedi che venivano fasciati non per rendere le donne più belle ma solo perché non potessero scappare. Feci parte del primo gruppo autorizzato a entrare nel paese natale di Confucio, appena riabilitato e, accanto a delle bottegucce artigiane e la strada principale non fosse asfaltata, trovai una immensa libreria.

Riportai da quel viaggio l’impressione di una popolazione serena, nonostante l’evidente povertà.

Al ritorno mi misi a studiare la Cina e per un anno e mezzo. Lessi tutto quanto potevo trovare in giro: da Snow alla Collotti Pichen, alla Macciocchi, al romanzo del xvi secolo di Chin P’ing Mei che da solo è una grande lezione sulla Cina di quel tempo e di tutti i tempi fino a Mao.

Fui folgorata da quanto Mao avesse realizzato, da quanto la Lunga Marcia fosse stato un miracolo. Da Snow ebbi la spiegazione del perché fosse stato adottato il comunismo: l’occidente era la rappresentazione degli occupanti e il Giappone del vicino usurpatore. La Russia aveva aiutato Mao a stabilire una politica nel Paese, aveva mandato tecnici: inevitabile quindi la scelta.

E nel tempo, ritornata in Cina al seguito di mio figlio che vi ha lavorato per 10 anni realizzando grandi opere per una importante società italiana, ho riconfermato le mie opinioni, assistendo, stupefatta, alla velocità dei cambiamenti.

Sono stata in un cantiere nello Yanan quando ci volevano tre giorni di viaggio per arrivarci. Solo il treno da Kumming a Panzihua impiegava nove ore ed era occupato anche da topi oltre all’impossibilità di usare la toilette. Ricordo che viaggiai cercando di appoggiarmi il meno possibile al sedile e a tutto ciò che mi circondava.

Sono stata a Shangai quando ancora quel meraviglioso museo (costruito nel 1995 da un architetto giapponese), non era stato realizzato, quando Pudong, con i nuovi quartieri e il nuovo aeroporto, non c’era ancora, quando lo stupendo teatro d’opera costruito nel 1998 dall’architetto francese Charpentier, non era stato previsto. Ho avuto il privilegio di vivere una zona della Cina non da turista ma da residente, a contatto con la gente di tutti i giorni.

Ora, ciò che voglio sostenere è: senza Mao, oggi, questa Cina non esisterebbe. Ciò che mi dispiace in molti articoli che proliferano sui nostri giornali, è la sottolineatura del “totalitarismo” e gli effetti nefasti sul Paese. Persino per la soppressione dei Pokemon non sì è evitato il ridicolo attribuendola a un atteggiamento autoritario. Ma chi conosce questi cartoni mostruosi, sa che è solo un bene che un bambino non li veda. E non credo proprio che i bambini cinesi si sentano discriminati per questo.

Ma quando i giornali impareranno a essere seri?

Nell’articolo del 16 luglio scorso, Federico Rampini, corrispondente di Repubblica in Cina, dopo aver ripreso passaggi di Snow, aver detto dell’eroismo e delle enormi difficoltà vissute durante la Lunga Marcia, finisce col dire che Snow potrebbe essere stato strumentalizzato e che già allora, nella liberazione della Cina dai giapponesi, c’erano i germi della dittatura.

Ma ci si rende conto, intanto della tendenziosità e della malafede, ma anche di cosa voglia dire una rivoluzione in un paese in cui la Città Proibita, per secoli, è stata il simbolo del rapporto tra chi esercitava il potere e la popolazione? Dentro le mura la vita e i privilegi, oltre le mura non si aveva il diritto di esistere. Non era forse totalitarismo quello degli imperatori che “ignoravano” milioni di vite umane?

E’ su questo sfondo che metterei la bellissima mostra CINA che si è tenuta a Roma alle Scuderie del Quirinale. I famosi, stupefacenti guerrieri di terracotta, i bronzi, le porcellane, il guerriero di giada, tutti reperti provenienti dalle tombe degli imperatori, cosa sono se non una dimostrazione della potenza e della ricchezza degli Imperi che si sono succeduti? Quanti, ma quanti cinesi sono morti nella costruzione delle tombe che dovevano assicurare benessere e felicità ai potenti anche dopo la morte?

Le intenzioni di Mao erano quelle di sopprimere le distanze, dare a ciascuno una dignità di vita attraverso il lavoro e la cultura.

Certo, non è riuscito neanche a lui, come non riesce a nessuno, proprio a nessuno al mondo. Non posso negare che il regime di Mao non abbia portato morte, esecuzioni, lotte di fazioni, soppressione di nemici.

Ma chi conosce una rivoluzione che non abbia dovuto pagare questi prezzi? E in più, una rivoluzione che riguardava un miliardo di persone.

Non dimenticherò mai, nell’81, un gruppetto di cinesi, in un loro grande magazzino, guardarci stupiti e divertiti perché ci contendevamo le stoffe a quattro lire.

Mi raccontarono allora dei cadaveri che avevano galleggiato sul fiume Yangtze e della Banda dei quattro che aveva distrutto i monumenti storici (di cui vidi alcuni resti).

Ma quel gruppetto di cinesi divertiti, nel povero grande magazzino, non aveva raggiunto la dignità del vivere attraverso il lavoro, il cibo quotidiano, la coscienza di essere considerati? Io li ho visti: non avevano l’aria angosciata.

Non è un prezzo che si deve pagare per uscire da condizioni disumane come i cinesi poveri hanno vissuto prima della rivoluzione?

Noi europei ne abbiamo avute di esperienze tragiche, in dimensioni e condizioni ben più limitate. Mentre nel ’34 Mao costruiva, noi eravamo sull’orlo del baratro con la supponenza della nostra civiltà.

Non sembra strano che la Cina oggi sia il paese che sta preoccupando le grandi potenze occidentali e noi stentiamo a mettere insieme l’Europa?

D’altronde, se in Cina ci fosse la democrazia, così come la intendiamo noi, non ci sarebbe lo sviluppo economico che si sta realizzando. Impossibile tenere insieme un miliardo e mezzo di persone senza regole anche autoritarie.

Si denunciano i diritti umani violati, la povertà delle campagne, la non libertà di culto. Sicuramente, sarà tutto vero, ci sarà ancora molto da conquistare. Ma si arriverà anche a questi traguardi, ne sono certa.

Come possiamo noi europei, incapaci di sopprimere la povertà nei nostri paesi grandi quanto una provincia cinese, pontificare su una realtà che, come dice una frase famosa, si crede di conoscere dopo un mese, si pensa di dover approfondire dopo un anno, e dopo dieci anni si è certi di non aver capito molto?

Amo la Cina per questo potenziale di forza e di vigore, ammiro ciò che sta costruendo, e mi auguro che riesca a far vivere tutta la sua popolazione con la dignità che merita.


1 commento:

fu_ma ha detto...

la democrazia, in alcune fasi storiche, può essere un lusso. Perderla deve essere comunque terribile.