Everyman
di Philip Roth
«La vecchiaia non è una battaglia: la vecchiaia è un massacro» è la dichiarazione che fa Roth a pag. 106 di Eveyman confermando un pensiero che lo perseguita ormai da anni.
Questo ultimo libro, dalla copertina nera, presentato come un capolavoro in America e in Italia, mi ha proprio delusa.
Roth riprende i suoi classici temi: la competizione del protagonista con l’immagine perfetta di un fratello (lo Svedese nella Pastorale americana), i fallimenti matrimoniali, la vecchiaia= malattia=morte, l’ossessione del sesso, il ricordo di giochi erotici perduti, e infine, il rifiuto totale di accettare una diversa condizione della vita, nel momento in cui la vita si trasforma anche perché il corpo non risponde più agli impulsi della giovinezza.
Avendo il tempo di analizzare i suoi precedenti (grandi), romanzi, si ritroverebbero gli stessi concetti, e, probabilmente, anche le stesse frasi. Comunque le stesse ossessione che Roth vuole rendere universali - non dando un nome al suo protagonista - ma che invece sono le ossessione dell’uomo Roth, e non, per fortuna, di tutti gli uomini anziani.
Sembra che per Roth, “vita” sia sinonimo di sesso, se questo viene meno, non si può più parlare di “vita”.
Questo libro dice, secondo me, che Roth ha ormai poco da dire. Non fa i conti con la morte, così come lui stesso aveva dichiarato tempo fa in una intervista, ma ripropone al lettore, forse furbescamente, cose già ampiamente dette e, secondo me, dette anche in modo più convincente e originale.
Tanto la trilogia sull’America mi aveva conquistato, tanto l’Animale morente, mi aveva coinvolta per alcune meditazioni che si potevano fare proprio sulla vecchiaia, tanto Everyman mi ha irritata provocandomi un rifiuto totale sull’autore.
Milano, 12 febbraio 2007